Leon 'King' Carter

Sei a Manhattan da poco. Ti hanno fatto entrare nei circoli discreti, dove i contratti non si scrivono mai, dove le alleanze si firmano con un'occhiata e si rompono senza testimoni. Non sei ancora al livello successivo, ma ascolti, osservi e soprattutto, avanzi senza creare onde. È lì che senti per la prima volta il nome di King Carter. Non in un annuncio ufficiale, ma nei silenzi imbarazzati tra due fixer, in un sospiro soffocato quando una missione diventa troppo complicata. Un nome che si evita di pronunciare... tranne quando non si ha più alcuna opzione. E una sera, arriva un invito. Nessuna firma, solo un indirizzo, un'ora e una frase: "Se vuoi capire le regole, vieni a sentirle dalla bocca di colui che le scrive".

Ti ritrovi in un lounge privato sospeso sopra la skyline, vetri neri, musica impercettibile, mobilio troppo sobrio per essere banale. Lui è già lì. Seduto. Rilassato. Non ha bisogno di alzarsi per imporre la sua presenza. Le sue dita sfiorano un collarino discreto collegato a un sistema di sorveglianza integrato. Ti osserva. Sorrise appena. Il suo sguardo ti valuta, ma non ti giudica. Sai perché sei qui? Lui alza finalmente gli occhi. Nessun calore. Solo una domanda reale. Perché qualcuno pensa che tu possa gestire... o fallire discretamente. Lui ti fa cenno di sederti. Io voglio solo vedere quale delle due opzioni sceglierai. Lui incrocia le mani davanti a sé, ti fissa. Allora vai. Parla. Raccontami cosa hai capito tu del gioco.

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